Finalmente tocca all'Inghilterra organizzare i mondiali, e finalmente, dopo le delusioni delle passate edizioni, la nazionale dei tre leoni riesce a portare a casa il titolo mondiale. È un successo di squadra, costruito sulla solidità piuttosto che sulle invenzioni di un singolo. Ed è un successo macchiato da qualche aiuto arbitrale di troppo, ma questo sta ormai diventando un'abitudine.
IL CALCIO TORNA A CASA – La doppietta brasiliana risveglia l’orgoglio delle squadre europee, e l’occasione del mondiale in terra inglese è l’ideale, per ristabilire l’equilibrio delle forze. È l’ideale soprattutto perché l’Inghilterra riesca finalmente a raccogliere qualcosa sul campo, dopo che la pretesa superiorità degli inizi del secolo è andata via via scemando con alcune figuracce “mondiali”. Per l’occasione, la F.A. da il ben servito a Winterbottom, in panchina dalla fine della guerra, sostituendolo col tecnico dell’Ipswich, Alf Ramsey. Ramsey è un tipo alla Capello (e chi ama i corsi e ricorsi storici prenda nota). Duro, inflessibile, non fa sconti a nessuno e costruisce una squadra che lascia poco spazio alla fantasia e molto alla forza fisica. La luce la accendono Bobby Charlton e Bobby Moore, mentre al resto ci pensano i muscoli di Peters e Ball, oltre al ringhio di Nobby Stiles, un Gattuso dall’aspetto inquietante. Per capire che tipo sia Ramsey basta un episodio. Il giorno dopo la finale vinta, due giornalisti lo avvicinano salutandolo calorosamente e gridando “Ce l’abbiamo fatta!”. La risposta, secca, prima di voltare le spalle, è: “È il mio giorno libero. Non ho nulla da dirvi”.
OTTIMISMO ITALIANO – L’Italia, dopo il fallimento cileno, è ripartita da Edmondo Fabbri, l’emergente tecnico che ha portato in A il Mantova a forza di bel gioco. Lo aiuta il fatto che i club di casa nostra stanno dominando l’Europa, con Milan e Inter che vincono tre Coppe dei Campioni di seguito, mentre in campionato si mette in luce il bel Bologna di Bernardini. L’ottimo inizio, con la vittoria in Austria, e le tranquille qualificazioni, fanno passare in secondo piano l’uscita dall’Europeo contro la forte URSS, futura finalista. Nessuno può immaginare cosa ci aspetti nella nebbia inglese. Oltre ai sovietici, le altre squadre favorite sono la Spagna di Suarez, campione continentale, e la giovane Ungheria, reduce dall’oro olimpico di Tokyo. Poi, ovviamente, il Brasile, anche se un po’ logoro e la solita Germania Ovest, che raramente tradisce le attese. A sorpresa, invece, escono di scena Cecoslovacchia e Jugoslavia, seconda e quarta in Cile.
INCUBO COREANO – Il mondiale inizia con un pareggio a sorpresa dei padroni di casa, costretti allo zero a zero dal solito ostico Uruguay. Alla fine, comunque, passeranno entrambe senza problemi, complice la pochezza tecnica di Francia e Messico. Gli inglesi hanno l’unica difesa imbattuta della prima fase. Lo rimarrà fino alla semifinale, altro segnale del tipo di squadra messa in campo da Ramsey. Nel secondo gruppo cade a sorpresa la Spagna, anche se Germania e Argentina sono avversarie di nome e destano una buona impressione. Soprattutto i tedeschi, guidati a centrocampo dal giovane Beckenbauer e con un Haller ispirato come non mai in zona gol. Le maggiori sorprese arrivano comunque dagli altri due raggruppamenti. Nel terzo cadono i bicampioni brasiliani, che nella gara iniziale battono la Bulgaria ma perdono Pelé per infortunio, cedendo dunque sia all’Ungheria che al sorprendente Portogallo di Eusebio, primo a punteggio pieno.
L’Italia, infine, inserita in un girone che sembra abbordabile, parte bene vendicandosi del Cile con un secco due a zero. Ma a questo punto Fabbri inizia a collezionare errori. Con i sovietici gioca per non prenderle, puntando apertamente sul pareggio che vorrebbe dire qualificazione, e venendo beffato da Cislenko nella ripresa. Nonostante tutto, basterebbe non perdere contro la modesta Corea del Nord, ma a Middlesbrough va in scena quella che è forse la giornata più nera del calcio azzurro. Bulgarelli, in campo nonostante sia acciaccato, è costretto ad uscire dopo qualche minuto. In dieci, gli italiani si impauriscono fino a venire infilati già prima dell’intervallo da Pak Doo-Ik, un nome che è ormai leggenda. La Corea va dunque ai quarti, prima squadra asiatica a riuscirci, un traguardo che verrà migliorato solo nel nuovo millennio dai vicini del sud. Sull’Italia, invece, al ritorno a casa, piovono ortaggi e uova marce.
VENDETTA EUROPEA – Se sui campi cileni, quattro anni prima, gli arbitri avevano sistematicamente aiutato le formazioni sudamericane, ai quarti di finale va il compito di ripagare le europee con gli interessi. Argentina e Uruguay, abbinate a Inghilterra e Germania, hanno parecchio da recriminare. Gli argentini perdono il loro capitano Rattin, espulso dopo mezzora, e capitolano solo per una rete in fuorigioco di Hurst. La Celeste, invece, si vede negare un rigore a inizio gara e poi resta in nove in seguito alle proteste per il vantaggio tedesco. Per Beckenbauer e compagni è poi un gioco da ragazzi chiudere con un sonante quattro a zero. Mentre la più solida URSS ha la meglio contro la solita inconcludente Ungheria, a Liverpool si affrontano le due maggiori sorprese della prima fase. Portogallo e Corea del Nord sono entrambe all’esordio in una fase finale, ma i portoghesi sono abituati da anni ai palcoscenici internazionali, grazie al Benfica campione d’Europa di Eusebio, Pallone d’oro in carica. Come già successo all’Italia, però, i lusitani prendono l’impegno alla leggera e rischiano una figuraccia epocale. I coreani, infatti, partono a razzo e al ventiquattresimo sono già sul tre a zero. A questo punto deve pensarci Eusebio, con un poker che ribalta la situazione, anche grazie all’aiuto di due calci di rigore dubbi. A José Augusto, poi, il compito di sigillare il punteggio sul pirotecnico 5-3 e di sancire il dominio europeo sul torneo, con quattro semifinaliste su quattro.
LE GRANDI IN FINALE – Non è solo il trionfo del calcio europeo, ma anche di quello atletico, quasi ad anticipare la rivoluzione olandese del decennio successivo. L’unica rappresentante del calcio latino è il Portogallo, opposto ai padroni di casa. Gli inglesi, che fin qui avevano destato non pochi dubbi, giocano la miglior partita del loro torneo. Ramsey decide di piazzare il mastino Nobby Stiles a guardia di Eusebio, di fatto troncando la fonte del gioco lusitano. La gara, di conseguenza, scorre senza particolari sussulti. Bobby Charlton la comanda e la illumina con una rete per tempo, mentre il fuoriclasse portoghese si deve accontentare del rigore che, nel finale, gli permette di mettere al sicuro il titolo di capocannoniere del torneo. Il giorno prima, a Liverpool, l’arbitro italiano Lo Bello aveva diretto una gara che, usando un eufemismo, si potrebbe definire “combattuta”. Già dai primi minuti era apparso chiaro che se avesse usato il pugno di ferro, metà dei giocatori non avrebbe finito l’incontro. Inevitabile, dunque, la decisione di chiudere più di un occhio. Haller porta avanti la Germania a fine primo tempo, dopo che Schnellinger aveva quasi troncato le gambe a Cislenko per rubargli palla. Il capitano sovietico si vendica poco dopo su un avversario, guadagnandosi così il cartellino rosso. In pratica, la gara finisce qui. Beckenbauer raddoppia nella ripresa e l’URSS può solo accorciare, a due minuti dal termine.
IL FANTASMA DI WEMBLEY – La finale è dunque la gara più attesa, oltre che significativa. A 20 anni dalla fine della guerra, infatti, di fronte si trovano due Paesi che si erano furiosamente contrapposti per tutta la durata del conflitto. Per l’Inghilterra è un’occasione unica, di fronte alla regina, di riconquistare quel primato ormai perduto, dopo le precedenti deludenti partecipazioni. Anche per questo i rossi (per dovere di ospitalità) partono alla carica, scontrandosi però contro la solida difesa tedesca. E al dodicesimo, invece, si conferma la tradizione che nel dopoguerra ha visto segnare sempre per primi coloro che poi non vinceranno la coppa. Haller, infatti, raccoglie una respinta della difesa avversaria e batte Banks con un esterno destro nell’angolino. È il sesto centro per lui, che gli vale il secondo posto nella classifica marcatori, alle spalle dell’irraggiungibile Eusebio, a segno anche nella vittoriosa finalina contro l’URSS. Passano solo sei minuti e una punizione di Moore trova la testa di Hurst, lasciato colpevolmente solo in area, che incorna per il pareggio.
Passata la paura, il ritmo degli inglesi cala e la gara si trascina stancamente fino alla fine, senza che nessuna delle due squadre riesca a creare dei seri pericoli. Al 78°, però, un tiro di Hurst viene svirgolato da un difensore e termina tra i piedi del mediano Peters. A questi basta poi un semplice tocco di piatto per mettere fuori causa Tilkowski. Adesso l’arrembaggio è tedesco, con l’Inghilterra tutta a difesa della propria porta. Sembra ormai fatta, quando all’ultimo minuto Held rimette al centro dalla sinistra, dopo una respinta goffa di Cohen. La palla attraversa tutto lo specchio della porta, con un’incredibile serie di interventi mancati che disorienta Banks. Proprio in fondo, però, appostato sul secondo palo, spunta Weber, che si getta in scivolata e pareggia.
Wembley cade nel silenzio, ma la rabbia dura fino al decimo del primo tempo supplementare, quando il mondiale si decide con un episodio che fa ancora discutere. Fuga di Ball sulla destra e appoggio per Hurst in mezzo all’area. Il centravanti del West Ham fa partire un bolide che incoccia contro la faccia inferiore della traversa e rimbalza sulla linea. Ancora oggi non è possibile stabilire se tocchi terra al di qua o al di là della linea, anche se la prima ipotesi sembra quella più valida. Il guardalinee, interpellato dall’arbitro, decide infine per il gol. Per la Germania è una mazzata dalla quale è impossibile riprendersi e infatti manca la reazione. Anzi, allo scadere Hurst diventa il primo giocatore a segnare una tripletta in una finale, concludendo a rete un’azione di contropiede. Gli inventori del football moderno, dunque, possono finalmente fregiarsi del titolo di campioni del mondo.
IL CAMPIONE DEI CAMPIONI
Robert Charlton – La vittoria inglese è un successo di squadra, prima che dei singoli, ma il capitano del Manchester United ha indiscutibilmente il ruolo di leader tecnico, mentre quello di leader carismatico spetta a Bobby Moore. Giovane promessa dei Red Devils, a 20 anni è coinvolto nella tragedia di Monaco, che decima la squadra durante una trasferta di Coppa dei Campioni. Si riprende rapidamente dallo shock, tanto da esordire in nazionale pochi mesi dopo. Con lo United vince la FA Cup nel 1963 e i campionati del 1965 e del 1967, prologo per l’affermazione in Coppa dei Campioni dell’anno dopo, la prima di un club inglese. Giocherà coi tre leoni sul petto fino al mondiale del 1970, uscendo di scena, inconsapevolmente, durante la gara con la Germania. Sostituito sul 2-0 per i suoi, infatti, vedrà dalla panchina la rimonta vincente dei tedeschi.
TABELLINO DELLA FINALISSIMA
Londra, 30 luglio 1966
Inghilterra: Banks, Cohen, Wilson, Stiles, J.Charlton, Moore, Ball, Hurst, R.Charlton, Hunt, Peters.
Germania Ovest: Tilkowski, Höttges, Schnellinger, Beckenbauer, Schulz, Weber, Haller, Seeler, Held, Overath, Emmerich.
Marcatori: 12’ Haller(G), 18’ Hurst(I), 78’ Peters(I), 90’ Weber(G), 101’ Hurst(I), 120’ Hurst(I).
Autore: Andrea Dipalo
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