L’Italia è il primo Paese europeo a organizzare la Coppa del Mondo per la seconda volta. È il mondiale delle “notti magiche” di Totò Schillaci, assurto in meno di un mese da quasi sconosciuto a personaggio di fama internazionale. Ma alla fine è il mondiale della Germania, che festeggia la riunificazione col suo terzo titolo iridato, vinto ancora da separata.
RINASCITA OLANDESE – Com’è normale che sia, nel nostro anormale Paese, l’occasione dell’organizzazione di un evento di rilievo planetario porta più polemiche che vantaggi. Gli stadi vengono ristrutturati o costruiti ex-novo con spese che in breve tempo decuplicano quelle preventivate e con risultati modesti che ancora oggi penalizzano l’intero movimento. Per fortuna c’è il calcio giocato e la fresca nazionale di Azeglio Vicini, che ha sostituito il suo diretto superiore Bearzot all’indomani del Messico, raccoglie simpatie e fiducia. All’Euro 88 ci piazziamo terzi, miglior risultato dopo quello vinto venti anni prima, e nelle amichevoli di preparazione non mancano gli spunti positivi. Oltre tutto i club italiani dominano l’Europa, vincendo nel 1990 le tre coppe principali con Milan, Sampdoria e Juventus. Le avversarie più insidiose sulla strada degli azzurri sono la solita Germania, che almeno in semifinale c’è sempre, l’Argentina campione in carica e le due finaliste dell’Europeo. L’Urss, che ha confermato i progressi fatti vedere in Messico, e soprattutto l’Olanda, tornata prepotentemente alla ribalta dopo un decennio di anonimato e capace di arrivare lì dove non era riuscita la precedente generazione di fenomeni, cioè a portare a casa un trofeo internazionale. Nonostante il mondiale a 24 squadre renda più facile qualificarsi, non mancano nemmeno questa volta le assenze di rilievo, a partire dalla Francia, che ha ormai esaurito la vena aurifera degli anni Ottanta, proseguendo con Danimarca, Polonia e Portogallo.
CADE SOLO L’URSS – La formula, che prevede l’eliminazione di sole 8 squadre su 24 al primo turno, fa una sola vittima illustre, l’Urss, anche se i sovietici non sono i soli a faticare. A cominciare dall’Argentina, che apre il mondiale perdendo clamorosamente contro il Camerun. Ripresisi battendo proprio la squadra di Lobanovksi, Maradona e compagni ottengono poi il punto della qualificazione a braccetto con la Romania. L’Urss saluta così definitivamente la scena mondiale. Pochi mesi dopo sparirà infatti dalle carte geografiche politiche e calcistiche. Nessun problema per l’Italia, che scopre la stella Schillaci, grazie al quale batte l’Austria all’esordio. Seguono poi i successi su Stati Uniti e Cecoslovacchia, che ci permettono di chiudere il girone a punteggio pieno, davanti ai boemi. Le tre avversarie del girone erano state nostre avversarie già nel 1934, un precedente che accende l’entusiasmo. A punteggio pieno anche un Brasile non entusiasmante, che passa il turno davanti alla Costarica del vecchio mago Milutinovic, capace di eliminare Scozia e Svezia.
Pochi problemi anche per la Germania, vittoriosa con nove gol in due partite contro Jugoslavia ed Emirati Arabi. Il pareggio con la Colombia aiuta i sudamericani a prendersi il terzo posto dietro gli slavi. L’ambiziosa Spagna allenata da Luisito Suarez parte piano, pareggiando con l’Uruguay, battendo poi Corea del Sud e Belgio e precedendo proprio belgi ed uruguayani. Infine, il gruppo F si rivela quello più equilibrato e noioso del primo turno, con soli 7 gol segnati in 6 gare. Le prime quattro finiscono in parità, ma all’ultimo turno l’Inghilterra riesce a prevalere sull’Egitto piazzandosi prima ed eliminando i Faraoni. Per decidere il secondo posto tra Eire ed Olanda è necessario il sorteggio, che premia i primi.
STORICO CAMERUN – Gli ottavi di finale si aprono con un’impresa storica. A Napoli, il 38enne Roger Milla trascina il Camerun alla vittoria nei supplementari contro la Colombia. I Leoni Indomabili sono la prima squadra africana a conquistarei quarti di finale di un mondiale. Vengono poi raggiunti dalla Cecoslovacchia, che non ha problemi a disfarsi della sorpresa Costarica, travolta dalla tripletta di Skhuravy, che si presenta così ai suoi nuovi tifosi del Genoa. Il giorno dopo è l’ora dei due match-clou degli ottavi. L’Argentina si risolleva e fa suo il derby sudamericano col Brasile all’italiana di Lazaroni. Decide Caniggia, ispirato da un Maradona tornato a livelli messicani. In serata la Germania si vendica dell’Olanda, che l’aveva eliminata in semifinale nell’Euro 88.
Una noiosissima sfida tra Eire e Romania, decisa ai rigori a favore degli esordienti irlandesi, fa da antipasto alla gara dell’Italia contro l’Uruguay. Vicini ha ormai battezzato la coppia d’attacco Schillaci-Baggio, che hanno steso la Cecoslovacchia, a discapito dei più esperti e appannati Vialli e Carnevale. Si teme il gioco ostruzionistico dei sudamericani, ed in effetti nel primo tempo si fatica ad andare al tiro. A sbloccare la situazione, nella ripresa, è ancora Schillaci, con un gran sinistro da fuori area. Il raddoppio di Serena, poi, ci regala la sicurezza dei quarti di finale. L’ultima giornata degli ottavi è nel segno di Dragan Stojkovic, fuoriclasse della Jugoslavia, che elimina la Spagna quasi da solo con una doppietta. La seconda rete, nei supplementari, è una splendida punizione. In serata, infine, l’Inghilterra aspetta l’ultimo minuto dei supplementari per superare il Belgio, con la rete del giovane Platt.
VINCE LA NOIA – Chi si aspetta grande spettacolo dai quarti di finale è destinato a rimanere deluso. Due soli gol in tre partite, prima dello spettacolo che offrono Inghilterra e Camerun. Ma andiamo con ordine. Aprono Argentina e Jugoslavia, e tiene banco la grande sfida tra Maradona e Stojkovic. Invece, 120 minuti non bastano a sbloccare il punteggio, con gli slavi che, pur in dieci, meriterebbero la vittoria ai punti. Ai rigori come spesso succede sbagliano i due giocatori più rappresentativi, prima Stojkovic e poi Maradona. L’errore di Troglio sembra condannare l’Argentina, ma a questo punto sale in cattedra Goycoechea, che aveva preso il posto di Pumpido dopo l’errore col Camerun. L’estremo difensore, ancora semi-sconosciuto, ipnotizza prima Brnovic e poi Hadzibegic e trascina i suoi in semifinale. Eroe per caso, ma purtroppo non solo per una notte.
In serata gli azzurri affrontano l’Irlanda di Jack Charlton, che all’esordio è riuscito nell’impresa di portare i verdi ai quarti pareggiando sempre. Come previsto la gara è tirata, ma alla fine a sbloccarla ci pensa il solito Schillaci, ribadendo in rete una respinta del portiere Bonner su conclusione di Donadoni. Ancora Totò va vicino al raddoppio nella ripresa, con una punizione che sbatte contro la traversa, raddoppio che segnerebbe pure, se l’arbitro non annullasse per un dubbio fuorigioco. Ma va bene così, si va a Napoli ad affrontare Maradona, senza aver ancora subito gol nel corso del torneo, un record.
La Germania fa suo il quarto contro la Cecoslovacchia, che si difende ad oltranza, offrendo più calci che calcio. I tedeschi monetizzano un rigore trasformato da Matthäus nella prima mezzora, ma il loro successo non è mai messo in discussione. E veniamo all’unica gara che offre emozioni vibranti. Il Camerun mette alla corda gli inglesi per tutta la gara, ma paga la propria inesperienza. Platt batte N’Kono alla prima occasione, e serve l’ingresso di Milla nella ripresa, per far sognare i Leoni Indomabili. Al quarto d’ora si procura un rigore, trasformato da Kunde, e tre minuti dopo serve ad Ekeke la palla del clamoroso sorpasso. Ma quando la favola sembra poter avere un lieto fine, entra in scena l’orco cattivo, nelle vesti dell’implacabile Lineker. Il centravanti del Tottenham, tra lo scadere dei tempi regolamentari e del primo tempo supplementare, si procura due calci di rigore, mettendo a frutto tutta la sua malizia di uomo d’area, e li trasforma. L’Inghilterra, quindi, torna in una semifinale mondiale a distanza di 24 anni dalla vittoria di Wembley, mentre insieme al Camerun, tutta l’Africa rimette nel cassetto i sogni di una clamorosa rivincita.
LA GRANDE DELUSIONE – Alla fine, scremate via via tutte le possibili sorprese, le semifinali vedono protagoniste squadre che almeno una volta hanno già vinto il titolo. L’Italia, ironia del calendario, è costretta a sfidare l’Argentina di Maradona proprio nella sua Napoli, e Diego ne approfitta con le sue qualità di demagogo. Alla vigilia spinge i tifosi napoletani a tifare per lui anziché per l’Italia che “vi ignora per tutto l’anno e adesso vi chiede aiuto per sostenere la nazionale”. Un colpo da maestro, come quelli che sa offrire sul campo. Alla prova dei fatti, già dall’ingresso in campo agli azzurri manca l’apporto totale del pubblico, cosa che fin qui, a Roma, avevano sempre avuto. Unita alla fisiologica stanchezza e alla decisione di Vicini di togliere Baggio ripescando Vialli, ecco che tutto porta alla conclusione di una gara che si dipana senza acuti. Eppure, ancora Schillaci sembra metterci sulla strada della finale, quando è lestissimo a spedire in rete una respinta di Goycoechea su conclusione di Vialli. Ma nella ripresa, un cross dalla sinistra di Olarticoechea pesca Caniggia in area. Complice l’uscita in ritardo di Zenga, al biondo attaccante del Verona basta sfiorare la palla per anticipare Ferri e scavalcarlo. Dopo più di 500 minuti finisce la nostra imbattibilità, e il colpo è destinato a farsi sentire. Solo l’entrata di Baggio, nella ripresa, ci regala qualche brivido. Nei supplementari, infatti, prima chiama Goycoechea ad uno splendido intervento per sventare una sua punizione e poi si procura l’espulsione di Giusti. L’ultimo quarto d’ora in superiorità numerica vive sul continuo ostruzionismo degli argentini, che riescono nel loro intento di arrivare nuovamente ai calci di rigore. Per l’Italia è la prima volta ai mondiali, mentre agli Europei avevamo già avuto un paio di delusioni. Lo spauracchio è Goycoechea, e le paure non si rivelano infondate. Fa le prove generali sfiorando il tiro di Baggio, ma le sue vittime si chiamano Donadoni e Serena. L’Argentina va alla seconda finale consecutiva, mentre in tutta Italia si versano lacrime amare.
Il giorno dopo, Germania e Inghilterra replicano in tutto e per tutto il risultato del San Paolo. Tedeschi avanti su punizione di Brehme, che si trasforma in una parabola beffarda sul tocco di Parker. Pareggio del solito Lineker, che avvicina Schillaci in classifica marcatori, a dieci minuti dal termine, con un preciso sinistro. Ai rigori segnano i primi sei, poi sbagliano prima Pearce e poi Waddle e la Germania vola in finale, a ripetere la sfida contro l’Argentina di quattro anni prima. Delusione per gli inglesi, che si giocano il terzo posto a Bari contro gli azzurri. Manca Gascoigne, squalificato, ma entrambi i CT danno spazio a molte seconde linee. Vicini ripropone la coppia Schillaci-Baggio, che nella ripresa sblocca il punteggio portando il panico nella difesa inglese. La conclusione vincente è di Baggio, e aumentano i rimpianti per quanto avrebbe potuto fare dall’inizio contro l’Argentina. Platt chiude il suo buon mondiale pareggiando di testa, ma alla fine è il sigillo di Schillaci su rigore, a fissare il 2-1 che regala a Totò la palma di capocannoniere. Si chiude con una splendida festa tra le due squadre, immagine rara e mai più vista a questi livelli.
VENDETTA TEDESCA – A Roma va dunque in scena la replica della finale di quattro anni prima. Allora l’Argentina era la grande favorita, su una squadra tedesca che aveva da poco iniziato una rifondazione, mentre adesso i ruoli sono ribaltati. La Germania ha mostrato grande compattezza, e sprazzi di buon gioco, finché la forma fisica l’ha sorretta, mentre gli argentini sono andati avanti più a spallate che altro, vincendo nei tempi regolamentari solo due gare sulle sei disputate. I primi a vendicarsi su di loro sono i tifosi italiani presenti all’Olimpico, che al momento dell’inno riversano su Maradona e compagni una censurabile selva di fischi ed insulti. Ci si mette poi la sorte, nelle vesti dell’arbitro messicano Codesal, che, dopo aver espulso giustamente Monzon, nega ai sudamericani un rigore per fallo su Dezotti. La finale più brutta della storia, degna conclusione di un torneo dove il difensivismo l’ha fatta da padrone, vive sull’incapacità dei tedeschi di superare il bunker avversario. Almeno fino a sei minuti dal termine, quando Sensini interviene su Vöeller al limite dell’area. Le proteste argentine sono inutili, Codesal fischia il rigore e Brehme, non facendosi incantare da Goycoechea, lo trasforma con un destro preciso. Il finale di gara è da dimenticare, con Dezotti espulso per una “cravatta” al collo di un avversario e Maradona ammonito per proteste tra gli applausi del pubblico. Finisce con i tedeschi in festa e gli argentini in lacrime, ma la vittoria è giusta, soprattutto per quanto fatto vedere durante tutto il corso del torneo. Beckenbauer si aggiunge a Zagalo tra coloro capaci di vincere un mondiale sul campo e da CT.
IL CAMPIONE DEI CAMPIONI
Lothar Matthäus – Personalità da vendere, come il “Kaiser” Beckenbauer che lo guida dalla panchina. Il leader della Germania di fine anni Ottanta esordisce in nazionale già a 19 anni, nell’Europeo vinto del 1980. Nella finale del 1986 si occupa, con successo, di francobollare Maradona, ed è solo dopo il trasferimento dal Bayern all’Inter che ottiene il ruolo di fulcro del gioco. Dopo aver vinto lo scudetto dei record nel 1989, guida la sua nazionale al successo di Roma. Poi, la Coppa Uefa con i nerazzurri e il ritorno al Bayern dove, nel 1999, vive la più grande delusione della carriera, beffato dal Manchester United nella finale di Champions League. In nazionale gioca ancora i mondiali del 1994 e del 1998, chiudendo con il deludente Euro 2000.
TABELLINO DELLA FINALISSIMA
Roma, 8 luglio 1990
Germania Ovest: Illgner, Berthold (73’ Reuter), Brehme, Augenthaler, Kohler, Buchwald, Littbarski, Hässler, Vöeller, Matthäus, Klinsmann.
Argentina: Goycoechea, Sensini, Lorenzo, Serrizuela, Ruggeri (46’ Monzon), Simon, Burruchaga (53’ Calderon), Troglio, Dezotti, Maradona, Basualdo.
Marcatore: 84’ Brehme(G)(rig).
Autore: Andrea Dipalo
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