Ogni volta che il Bari decide di ripartire da zero, con un progetto nuovo, tecnico giovane, rosa ringiovanita e una visione di medio-lungo termine, finisce spesso per inciampare subito. È un paradosso che si ripete da anni, quasi un automatismo della storia recente biancorossa: quando si dovrebbe semplicemente costruire con calma, si scivola. Quando le aspettative sono moderate e il progetto viene annunciato come “di transizione”, l’annata si spegne nel grigiore o finisce con il ritorno al punto di partenza.
Era successo già dopo la promozione in Serie A del 2009. Antonio Conte aveva lasciato, il club puntò su Giampiero Ventura per aprire un ciclo sostenibile con tanti giovani, ma bastò una stagione difficile (quella 2010-11) per far crollare tutto. L’idea di valorizzare il talento, di essere un laboratorio tecnico con identità e gioco, si dissolse tra infortuni, malcontenti e un girone di ritorno disastroso. Il risultato fu l’ultimo posto e la retrocessione.
Il tema si è riproposto ciclicamente anche in Serie B. Dopo il fallimento societario del 2014, con la nascita dell’F.C. Bari 1908 di Paparesta, il club fu affidato a Devis Mangia, con un progetto giovane e ambizioso. La rosa, costruita per gettare le basi di un triennio di crescita, naufragò presto tra risultati altalenanti e contestazioni. A fine stagione, l’ennesimo 11° posto e la sensazione che anche quell'anno zero fosse servito solo a perdere tempo.
Nel 2016-17 un altro tentativo. Roberto Stellone, allenatore emergente che aveva portato il Frosinone in A, fu chiamato per guidare una squadra che univa esperienza e giovani da valorizzare. Anche in quel caso, dopo l’ennesima girandola tecnica con l’arrivo di Colantuono a stagione in corso, il Bari si fermò a metà classifica. Nessuna crescita, nessun ciclo avviato.
Stessa sorte per l’anno post-fallimento del 2018, con la rinascita dalla Serie D. La stagione 2019-20 in Serie C doveva essere quella della prima vera svolta tecnica del nuovo corso targato De Laurentiis, con Cornacchini e poi Vivarini. Si arrivò in finale playoff ma non bastò, e l’anno successivo, invece di consolidare, si ripartì da zero: nuovo tecnico (Auteri), nuovo modulo, nuove idee. E nuovo fallimento.
Anche il ciclo recente post-Mignani sembra raccontare la stessa trama. Dopo la finale playoff raggiunta nel 2023, il Bari ha cambiato radicalmente: via Mignani, dentro Pasquale Marino, poi Iachini, poi Longo. Una rosa ringiovanita, scelte strategiche che guardavano al futuro, ma senza una vera continuità. E i risultati hanno punito: a una giornata dal termine del campionato 2024-25, i playoff sono un miraggio e la stagione rischia di essere una delle peggiori in B nell’era De Laurentiis.
Il problema sembra strutturale. Il Bari non riesce a costruire, perché si stanca subito del progetto tecnico quando non arrivano i risultati immediati. La pressione dell’ambiente, le scelte di mercato poco coerenti, le aspettative spesso superiori alle reali possibilità contribuiscono a interrompere qualsiasi tentativo di costruzione. Manca la pazienza, e forse anche la lucidità, per affrontare davvero un anno zero. Un paradosso che si ripete: quando il Bari dovrebbe piantare semi, finisce per scavare buche.
E allora viene da chiedersi: serve davvero un’altra rivoluzione, oppure finalmente un progetto che duri più di una stagione? Il vero anno zero, forse, sarà quello in cui si smetterà di invocarlo e quello in cui ci si metterà al tavolino con una pianificazione più seria, oltre che ambiziosa.
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