Le domanda è: può un giocatore salentino di nascita e formazione calcistica aver rappresentato per alcuni anni la bandiera, il capitano indomito ed esemplare in una squadra come il Bari?
La risposta è certamente affermativa, e a quel calciatore possiamo dare un nome e cognome: Luigi Garzya, per tutti semplicemente Gigi.
Pochi sono stati infatti capaci di onorare la fascia e incarnare a tutto tondo il significato dell’essere capitano e guida di una squadra, in campo e fuori. Gigi Garzya è certamente stato capace di coniugare alla perfezione le due cose e ancora oggi, a distanza di più di dieci anni dal suo addio ai colori biancorossi, viene ricordato come merita.
Un vero leader, al quale l’incontro con Eugenio Fascetti ha dato la svolta alla carriera; nato e cresciuto nel Lecce, conobbe nel ’91 il grande salto che lo portò a Roma, sponda giallorosa. Tre stagioni da titolare, poi nel ’94 il passaggio alla Cremonese dei miracoli e dei vari Favalli, Marcolin e Tacchinardi.
Poi, finalmente, l’arrivo a Bari dove disputò quattro stagioni e mezzo da titolare indiscusso e inamovibile, guidando la difesa e i suoi compagni in maniera perfetta. Fascetti, da grande uomo di calcio, si accorse subito delle qualità di leadership di cui Garzya era dotato e non esitò ad affidargli anche la fascia di capitano.
Qualcuno storse un po’ il naso, il suo passato leccese era considerato un handicap ma forse il modo di vedere e concepire certe cose stava cambiando e Garzya fu uno degli apripista verso il generale “abbattimento” dei sacri, quanto ottusi, vincoli. Non era certo un colosso, superando di poco il metro e settanta ma in area di rigore rivestì per anni un ruolo fondamentale nel bloccare e fermare gente del calibro di Van Basten, Balbo, Batitusta, fino ad arrivare ai più recenti Ronaldo e Shevchenko.
Garzya fu uno degli ultimi stopper veri che il calcio ricordi; un marcatore arcigno, duro ma mai cattivo, pronto sempre a dare tutto sé stesso in campo. Forse fu anche per questo, oltre al suo elevato rendimento, che riuscì a vincere le prime resistenze della tifoseria barese che lo elesse di lì a poco suo autentico simbolo. Quelli di Gigi a Bari furono certamente anni belli, ricchi di soddisfazioni oggi lontanissime; gli anni della splendida promozione in serie A nella stagione 1996-1997, quelli degli ottimi campionati conclusisi con altrettante salvezze ottenute.
Garzya c’era sempre, la sua esperienza non mancò mai, neanche nei momenti più difficili; si era creato un gruppo granitico, capace di far crescere al meglio quelli che erano tutti i giovani talenti che Carlo Regalia portò a Bari. Gente come Gigi, assieme all’indimenticabile Franco Mancini, rappresentarono lo zoccolo duro di quella squadra, divenuta per certi versi una vera e propria famiglia.
Non fu un caso, se i problemi iniziarono a nascere quando i rapporti tra la società, Garzya e gli altri “senatori” si incrinarono irrimediabilmente. In pochi anni la situazione precipitò e di quella squadra rimase putroppo solo un bello ma sbiadito ricordo; i motivi che spinsero Gigi Garzya all’addio alla maglia che tanto aveva amato e onorato non furono mai del tutto chiariti, ma è chiaro che qualcosa si era rotta, soprattutto con il mister Fascetti. Andò via a metà della stagione 2000-2001, scegliendo Torino come ultima tappa del suo viaggio nel calcio che conta; tuttavia non furono stagioni indimenticabili, tutt’altro.
Poche presenze, tanta panchina e difficoltà ambientali mai superate; i tempi di Bari ormai lontanissimi e anche a Bari ci fu chi lo rimpiangeva, come forse lo rimpiange ancora oggi. Chiuse la sua ottima a carriera a Taranto, in serie C, non disdegnando mai di calarsi al meglio nella sua nuova realtà e dando tutto per la maglia.
Così come un vero capitano dovrebbe sempre fare, mai una polemica, mai sopra le righe. Un esempio, questo è stato Gigi Garzya da San Cesario; chissà che colui il quale ha preso il suo posto nel cuore di tutti i tifosi biancorossi, il rimpianto Gillet, non abbia fatto tesoro dell'esperienza e del ricordo che il suo illustre predecessore aveva lasciato...
Siamo certi di si, visti i risultati e visto il vuoto che anche il belga ha lasciato.
Chiudiamo così come avevamo aperto, con una semplice domanda: quanto ha inciso il ricordo e l'esempio di Gigi Garzya sul rapporto di totale empatia creatosi, anni dopo, tra Antonio Conte (altro salentino doc) e la tifoseria biancorossa?
Crediamo di conoscere già la risposta.
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