Quando alle semifinali del mondiale messicano arrivano le tre squadre che hanno vinto il titolo per due volte, appare evidente come la Coppa Rimet, la “vittoria alata”, stia per trovare il padrone definitivo. Alla fine la spunta il Brasile dei cinque numeri 10. Il Brasile di Pelé, primo e finora unico giocatore ad aver vinto tre mondiali.
RINASCIMENTO ITALIANO – La traumatica uscita di scena dal mondiale inglese, per opera dei dilettanti coreani, ha due effetti immediati sul calcio italiano. Il primo è la chiusura delle frontiere, per favorire l’utilizzo dei calciatori italiani. Saranno riaperte quindici anni dopo. Il secondo è l’inevitabile addio di Fabbri e l’arrivo di Valcareggi, il suo vice, alla guida della nazionale. Il nuovo C.T. si affida al blocco interista, rinunciando ai bolognesi, compreso quel Bulgarelli che continua ad essere il miglior regista del campionato. La tattica è quella difesa a oltranza, con contropiede annesso, che ancora ci perseguita nel giudizio che del nostro calcio danno all’estero. Un tipo di calcio criticabile, ma che indubbiamente è di successo, visto che è quello praticato dalla Grande Inter di Herrera. La conferma arriva agli Europei del 1968, disputati in Italia e vinti non senza l’apporto fondamentale della dea bendata. Semifinale vinta grazie alla scelta della monetina e finale riacciuffata all’ultimo, dopo 90 minuti in affanno . La ripetizione vinta con merito e la coppa alzata al cielo da Facchetti fanno passare tutto il resto in secondo piano. Dopo il facile passaggio delle qualificazioni, dunque, l’Italia si ripresenta al mondiale da protagonista.
UN BRASILE EPOCALE – Alla fase finale, affidata al Messico due anni dopo le Olimpiadi disputate nella sua capitale, il ruolo di massimo favorito spetta comunque al Brasile. Usciti anch’essi con le ossa rotte dal torneo inglese, i verdeoro si ripresentano con una formazione inaudita. A Pelé e al suo erede designato Tostão, Zagalo decide di aggiungere Jairzinho a destra, Gerson in appoggio e Rivelino a sinistra. Cinque giocatori che nei loro club indossano il numero 10. Il roster delle partecipanti manca di due protagoniste attese: il Portogallo, terzo in Inghilterra, e la Jugoslavia, sfortunata vicecampione d’Europa. Ma soprattutto manca dell’Argentina, che dopo aver visto preferito il Messico nel ruolo di organizzatore, cede clamorosamente, nelle qualificazioni, al Perù allenato da Didí. Il compito di dar fastidio ai brasiliani nella ricerca del loro terzo alloro, dunque, spetta, oltre che all’Italia, all’Inghilterra campione in carica, alla sempre presente Germania Ovest e all’Uruguay, campione sudamericano in carica. Novità assoluta di questa edizione è la possibilità di effettuare due sostituzioni. L’Italia, che ne avrebbe avuto bisogno quattro anni prima, sarà quella che meglio di tutti saprà approfittarne. Vedremo come.
PRIMO TURNO SOPORIFERO – Già dalla gara inaugurale si capisce che non sarà un torneo spettacolare, complice anche l’altura che influisce sulle prestazioni atletiche. L’URSS si limita ad un pari senza reti con i padroni di casa, utile ad entrambe le squadre per passare il turno a braccetto, a scapito di Belgio ed El Salvador la cui qualificazione, ai danni dell’Honduras, aveva addirittura fatto scoppiare un conflitto armato tra i due paesi. Senza problemi anche Brasile e Inghilterra, coi brasiliani che si impongono nello scontro diretto grazie ad un Jairzinho in stato di grazia. È la gara di quella che è stata votata come la parata del secolo, di Banks su colpo di testa di Pelé. Solo un ruolo da comprimarie per Romania e Cecoslovacchia. Tutto facile per la Germania, seguita dal Perù migliore di sempre, con Bulgaria e Marocco impotenti. I tedeschi hanno il miglior attacco della prima fase, grazie ad un tale Gerd Muller, capace di segnare sette gol in tre partite!
Tutto all’opposto per l’Italia, invece, che vince di misura all’esordio con la Svezia, pareggiando poi a reti inviolate le altre due gare, con Uruguay e Israele. La Celeste ci accompagna ai quarti di finale, ma nel ritiro azzurro divampano le polemiche. Rivera viene escluso dall’undici titolare dopo una dichiarazione polemica per l’esclusione dai convocati dell’amico Lodetti. Riva gioca a mezzo servizio, perché non al meglio per questioni fisiche e psicologiche. In tutto questo, il primo posto nel girone con la difesa imbattuta può essere considerato un gran bel risultato.
L’ITALIA ALL’IMPROVVISO – L’accoppiamento dei quarti di finale ci vede opposti ai padroni di casa. Sul piano tecnico non c’è confronto, ma il fattore campo fa paura, tanto più che i messicani hanno passato il turno anche grazie ad un rigore regalato contro il Belgio. Il gol di Gonzalez al tredicesimo suona come un De Profundis per gli azzurri. La fortuna ci viene in aiuto su un tiro di Domenghini deviato nella propria porta da un difensore. Nella ripresa Valcareggi vara quella che sarà ricordata per sempre come la “staffetta”, tra i due grandi rivali. Esce Mazzola ed entra Rivera. Il milanista, contro avversari che cominciano a patire la stanchezza, può orchestrare da par suo le azioni dei suoi. Ne nascono due reti del rinato Riva e una firmata da lui stesso. Siamo in semifinale, trentadue anni dopo l’ultima volta. Decisamente meno spettacolo tra Uruguay e URSS, gara decisa a tre minuti dalla fine dei supplementari, a favore dei sudamericani, con una rete contestata dai sovietici. Il Perù lotta orgogliosamente contro la corazzata brasiliana, provando a rispondere colpo su colpo. Alla fine, però, la superiorità tecnica dei verdeoro ha la meglio e finisce 4-2. Infine, la Germania si vendica dell’Inghilterra quattro anni dopo la sconfitta di Wembley. Inglesi avanti due a zero a inizio ripresa. Quando esce il leader Bobby Charlton, Beckenbauer ha appena accorciato le distanze. Il capitano del Manchester United non può sapere che quella sarà la sua ultima apparizione in maglia bianca. I tedeschi, infatti, crescono alla distanza, fino a pareggiare con Seeler e trovare il gol del clamoroso sorpasso nel secondo tempo supplementare, col solito Muller.
LA LEGGENDA DELL’AZTECA – Sette titoli mondiali. È questo quello che mettono in campo le quattro semifinaliste, tre delle quali, Brasile, Italia e Uruguay, puntano al tris che equivarrebbe a far loro definitivamente la Coppa Rimet. Il caso garantisce una finale intercontinentale, visto che le semifinali si giocano tra squadre della stessa area geografica. L’Uruguay, forte del suo gioco utilitaristico, con sole tre reti segnate in quattro gare, mette in crisi l’attacco atomico dei brasiliani per tutto il primo tempo. Al ventesimo Cubilla porta in vantaggio la Celeste e solo allo scadere, dopo una serie infinita di assalti alla porta avversaria, Clodoaldo riesce ad agguantare il pareggio, facendo svanire l’incubo di una nuova beffa come quella del 1950. Nella ripresa l’Uruguay risente delle fatiche dei supplementari contro l’URSS e prima Jairzinho e poi Rivelino mandano in finale il Brasile. Nel frattempo, allo stadio Azteca di Città del Messico, Italia e Germania Ovest danno vita a quella che sarà definita come la “Partita del secolo”. La Germania è ormai quella che si avvia a dominare la scena internazionale nei quattro anni seguenti e gioca col favore del pubblico, perché gli azzurri hanno la colpa di aver eliminato i padroni di casa. I novanta minuti regolamentari, in realtà, di epico hanno ben poco, tranne nel finale. La rete iniziale di Boninsegna, infatti, sembrava ormai essere sufficiente a portare gli italiani all’atto conclusivo, ma all’ultimo assalto Schnellinger, che giocava nel Milan, riesce a pareggiare i conti in mischia. Sembra che stavolta la staffetta tra Mazzola e Rivera sia stata controproducente, ma nei supplementari va in onda la mezzora più spettacolare mai vista in una gara “mondiale”. Germania subito avanti con Muller e presto raggiunta da un colpo a sorpresa di Burgnich. Riva ci illude, ma nel secondo supplementare Muller colpisce ancora, con Rivera che, appostato sul palo, non riesce a intercettarne il tiro. Lo stesso Rivera, inseguito dall’ira del portiere Albertosi, si lancia in avanti e batte Maier con un piattone in controtempo che è ormai un’icona, più che un gol. In Italia esplode l’entusiasmo per la terza finale della storia azzurra, ma il dispendio di energie ci costerà troppo caro, come vedremo.
PELÉ SI PRENDE LA RIMET – Dopo che la Germania conquista il terzo posto imponendosi di misura sull’Uruguay, Brasile e Italia si presentano all’Azteca con la Coppa Rimet in palio, stavolta in modo definitivo. Chi vincerà, infatti, farà sua per sempre la “Vittoria Alata”, un trofeo che ormai da 40 anni fa sognare gli appassionati di calcio di tutto il pianeta. Naturalmente l’Italia vi arriva nel pieno delle polemiche. L’opinione pubblica vuole Rivera in campo fin dall’inizio, mentre Valcareggi è intenzionato a confermare l’undici di partenza, spaventato dal calo fisico del secondo tempo contro i tedeschi. Decisamente più tranquillo Zagalo, che con i suoi cinque numero 10 ha finora dominato contro qualunque avversario. Fin dai primi minuti, il canovaccio della gara è fin troppo chiaro, coi brasiliani a macinare gioco e gli azzurri a colpire di rimessa. Al 18°, su cross dalla sinistra, Pelé si alza letteralmente in cielo, sovrastando Burgnich e battendo Albertosi. Il colpo minaccia di essere fatale, e invece l’Italia resta compatta, trovando il pareggio venti minuti dopo, quando Everaldo sbaglia un disimpegno e Boninsegna, anticipando pure il compagno d’attacco Riva, lo punisce infilando Felix. Nella ripresa ci si aspetta l’ingresso in campo di Rivera, ma Valcareggi mantiene in campo Mazzola, più adatto in copertura. Una mossa che scatenerà le polemiche, anche perché le fatiche della semifinale cominciano a farsi sentire e il Brasile finisce per dilagare. Vanno a segno Gérson e Jairzinho, prima del sigillo conclusivo di Carlos Alberto, a quattro minuti dal termine. In quel momento era in campo anche Rivera, buttato nella mischia due minuti prima per partecipare ad una sconfitta che non gli appartiene. Mentre Pelé alza al cielo la sua terza Rimet, quindi, in Italia esplodono le polemiche, tanto che al ritorno in patria, gli azzurri saranno accolti da una folla inferocita, dimentica del grande risultato ottenuto.
IL CAMPIONE DEI CAMPIONI
Jair Ventura Filho “Jairzinho” – È il numero 10 del Botafogo, impiegato come ala destra da Zagalo. Nonostante tutto, riesce ad andare a segno in tutte le partite disputate, diventando il capocannoniere dei verdeoro, secondo solo a Gerd Muller nella classifica generale. Pensare che dopo essere stato nominato come erede di Garrincha, sia nel club che in nazionale, perse il posto pochi mesi prima del mondiale, salvo riconquistarlo in extremis. Gioco anche l’edizione successiva, prima di tentare con scarsa fortuna l’avventura europea, a Marsiglia. Tornato in patria, al Cruzeiro, conquistò la Coppa Libertadores segnando undici reti in tredici partite.
TABELLINO DELLA FINALISSIMA
Città del Messico, 21 giugno 1970
Brasile: Felix, Carlos Alberto, Everaldo, Clodoaldo, Brito, Piazza, Jairzinho, Gérson, Tostão, Pelé, Rivelino.
Italia: Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini (73’ Juliano), Rosato, Cera, Domenghini, Mazzola, Boninsegna (84’ Rivera), De Sisti, Riva.
Marcatori: 18’ Pelé(B), 37’ Boninsegna(I), 65’ Gérson(B), 70’ Jairzinho(B), 86’ Carlos Alberto(B).
Autore: Andrea Dipalo
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