"Sette mesi. Era da sette mesi che non vivevo più. Facevo fatica a dormire, appena riuscivo a prendere sonno subito dopo mi svegliavo, e pensavo a tutte le porcate che stavo facendo, e mi chiedevo perché mi ero ridotto a farle, che cosa mi spingeva. Ogni momento, giorno e notte, la mente andava lì: all'inferno in cui mi ero cacciato. Era diventato un incubo che mi perseguitava, che mi stava schiacciando. Ogni giorno il peso aumentava. Pensi che da quando sono qui dentro ho ricominciato a dormire. E' incredibile, è come se adesso, tolto il macigno, stessi iniziando a rilassarmi...". Sala colloqui del carcere di Cremona. Marco Paoloni indossa maglietta e pantaloncini bianchi. Le braccia abbronzate, compulsa le pagine dei due quotidiani che gli hanno portato, uno sportivo e uno locale. Per essere uno che si è venduto anche l'anima, un portiere senza rete che per la scimmia delle scommesse si era ridotto a drogare i compagni di squadra, a rubare il bancomat alla moglie, sulle prime sembrerebbe persino tranquillo. L'idea che qualcuno sia venuto a trovarlo per verificare le sue condizioni, unita alla sensazione di essere uscito dal corpo del demone, gli conferiscono un'aria quasi rilassata. Nonostante le occhiaie profonde.

Quando inizia a raccontare il suo "inferno" al consigliere regionale Agostino Alloni, si capiscono cose che fino a ora si potevano solo immaginare. "L'unica preoccupazione che provo adesso - dice il portiere del Benevento, ex Cremonese - è per mia moglie e per mia figlia (tre anni). Penso a loro, a quanto stanno soffrendo. Ma per il resto da quando sono qui ho iniziato a stare meglio. Sono in carcere ma mi sento come liberato. Non ce la facevo più a sopportare questo casino".

Il mondo marcio che lo ha inghiottito Paoloni, certo, se l'è cercato. Perché il calcio scommesse è una palude nella quale ti immergi. Lui giura che l'incontro con quelle sabbie mobili dipinte di azzurro è stato, ovviamente, più o meno "casuale". "Mi sono trovato in mezzo e mi sono fatto prendere la mano". Si descrive così, un po' come un anello debole e un po' come uno che era posseduto. "Ho sbagliato e mi prendo tutte le mie responsabilità. Ma l'ho fatto solo perché a un certo punto ero disperato, non sapevo più come uscire" dal giro. "Perché sa qual è la verità? È che io dalle scommesse non ci ho mai guadagnato niente. Infatti il mio conto in banca era sempre sotto".

Un pollo? Uno che ha tirato un sasso e gli è venuta addosso una montagna? "Non voglio pensare, voglio solo stare meglio". L'altro giorno, prima di fare scena muta davanti al gip Guido Salvini (assistito dall'avvocato Emanuela De Paolo, si è avvalso della facoltà di non rispondere) Paoloni ha ricevuto la visita della moglie Michela Spinelli, in lacrime, e della figlia. "Abbiamo subito tante di quelle minacce che voi non potete nemmeno immaginare" si è sfogata la donna. Era intestata a lei, a Michela, la ricetta medica che Marco Pirani, il dentista di Ancona, anche lui arrestato, aveva fornito a Paoloni per acquistare il sonnifero (Minias) da mettere nelle borracce dei compagni di squadra e fiaccarli, in modo da farli rendere meno e riuscire a taroccare Cremonese-Paganese (impresa poi fallita).

Su questo punto il deputato regionale Alloni non ha potuto chiedere nulla. Ma quando ha allungato al portiere corrotto due quotidiani nei quali si parlava degli sviluppi dell'indagine della procura di Cremona e dell'esistenza di un possibile "secondo e terzo livello" nello scandalo delle scommesse, Paoloni ha precisato. "Io non so niente né c'entro nulla con secondi e terzi livelli". La sua dimensione, spiega, era quella del calcio minore, e basta. Lì aveva voluto sporcarsi, lì era rimasto impigliato. L'ex numero uno adesso dice che il calcio, quel calcio, gli ha rovinato la vita. E vuole dimenticarselo. Lo ha raccontato anche ai suoi due compagni di cella.

A poche decine di metri, nel reparto di infermeria, è detenuto Antonio Bellavista, l'altro (ex) calciatore (del Bari) arrestato. Alloni lo ha incontrato in un ambulatorio. "Mi è sembrato sorpreso di trovarsi in carcere, ma allo stesso tempo meno spaesato e sconvolto di Paoloni". Che giura di non avere "mai conosciuto né visto" (le carte dell'inchiesta lo smentiscono). Accusato di essere uno degli snodi principali del giro di scommesse e partite truccate, Bellavista prova a ridimensionare il suo ruolo. "Facevamo solo delle puntate sulle partite, cose tra ex compagni. È vero - ha ammesso in queste ore - tra i calciatori c'è un sistema di informazioni sotterranee: ogni domenica si sa quali sono i giocatori che, soprattutto nelle serie minori, sono in difficoltà, che non prendono lo stipendio e magari, ecco, per questo scendono in campo meno sereni...". E dunque, si deduce, più influenzabili e più corruttibili. "Però non mi aspettavo che mi cadesse in testa questa tegola. Pensi - ha chiosato Bellavista salutando il suo ospite - che io ho una scuola calcio a Bitonto. Insegno ai bambini. Perché per me il calcio è vita...". 

Sezione: Rassegna Stampa / Data: Dom 05 giugno 2011 alle 12:30 / Fonte: repubblica.it
Autore: Andrea Dipalo
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