Finita l’epopea della Coppa Rimet, assegnata definitivamente al Brasile, il calcio entra nell’era moderna col mondiale disputato in Germania Ovest e vinto dai padroni di casa. Come 20 anni prima, i tedeschi hanno la meglio sulla squadra favorita della vigilia, una nazionale che a livelli così eccelsi non era mai giunta, l’Olanda.
PUNTO DI SVOLTA – I primi quattro anni del nuovo decennio segnano una decisa svolta nel modo di intendere lo sport in genere e il calcio in particolare. Alle Olimpiadi di Monaco del 1972 desta sensazione l’assalto di alcuni guerriglieri palestinesi, che prendono in ostaggio atleti israeliani. Un’azione che termina nel modo più tragico, con la morte di undici atleti, 2 agenti e dei cinque terroristi. Lo shock fa capire come gli avvenimenti sportivi siano ormai casse di risonanza di livello mondiale (qualcosa era già successo in Messico nel 1968) e le autorità tedesche, in occasione del mondiale di due anni dopo, sono decise a non far ripetere un simile evento. Sarà il torneo della sicurezza, con guardie ad ogni angolo e atleti sorvegliati 24 ore su 24. Altra novità, non di poco conto, è l’esordio di un nuovo trofeo destinato a premiare i vincitori. Assegnata al Brasile la Coppa Rimet, la Fifa sceglie il disegno dell’orafo italiano Silvio Gazzaniga. Due atleti festanti che reggono sulle spalle un globo terrestre. Diventerà presto un’icona inconfondibile. Sul piano prettamente sportivo, la novità maggiore è l’avvento del calcio atletico, a dispetto di quello più tecnico degli anni Sessanta. Portabandiera ne è l’Olanda. A livello di club ha dominato la Coppa dei Campioni con l’Ajax per tre anni consecutivi, prima che Cruijff lo lasciasse per il Barcellona. A livello di nazionale, invece, non ha replicato, deludendo all’Europeo del 1972 e faticando a qualificarsi al mondiale contro i cugini del Belgio, superati solo per la differenza reti. Restano comunque i grandi favoriti, alla pari dei padroni di casa tedeschi, che invece l’Europeo l’hanno vinto e che col Bayern Monaco hanno preso il testimone dall’Ajax in Coppa dei Campioni. Non mancano, invece, le assenze a sorpresa. A partire dall’Inghilterra, fermata a Wembley dalla Polonia e, soprattutto, dal portiere Tomaszewski, che para l’imparabile. Non c’è nemmeno l’URSS, che si rifiuta di andare a giocare lo spareggio contro il Cile del generale Pinochet. Come detto va fuori il Belgio, che all’Europeo era giunto terzo, e con lui Spagna, Portogallo e Cecoslovacchia, tutte in un periodo di involuzione dopo i fasti degli anni precedenti.
IL RECORD DI ZOFF – L’Italia è vicecampione del mondo, quindi un ruolo da protagonista le spetta di diritto. Gli azzurri iniziano male il quadriennio, uscendo ai quarti dall’Europeo per mano del Belgio, ma subito dopo iniziano un lungo periodo di imbattibilità. La porta di Zoff resta inviolata dal settembre del 1972 fino all’inizio del torneo iridato. Nel mezzo, la facile qualificazione contro Turchia e Svizzera e alcuni risultati di rilievo in amichevole. Ad accendere l’entusiasmo sono due 2-0 contro Brasile e Inghilterra, ma soprattutto il successo per 1-0 a Wembley, prima storica affermazione oltremanica. Una vittoria firmata da Capello e conservata da uno Zoff letteralmente insuperabile. Tutto questo fa perdere di vista al CT Valcareggi un fatto importante. Gli eroi “messicani” sono ormai logori e non possono competere col calcio atletico che ormai domina a livello internazionale. Se ne accorgerà, purtroppo, quando sarà troppo tardi.
DELUSIONE AZZURRA – Il primo turno regala una sola sorpresa, e purtroppo per noi ci riguarda da vicino. L’Italia esordisce a Monaco contro Haiti, classico antipasto da mangiare in un boccone prima di affrontare le più ostiche Argentina e Polonia. Il primo tempo si chiude sullo 0-0, tra lo sconcerto generale, ma il peggio arriva a inizio ripresa, quando il carneade Sanon approfitta di una difesa troppo sicura di sé per interrompere il record di imbattibilità di Zoff. Sei minuti dopo, Rivera scaccia l’incubo di una nuova Corea, mentre Benetti e Anastasi hanno il compito di firmare una vittoria che non fa sorridere nessuno. Nel frattempo la Polonia irrompe nel mondiale superando l’Argentina ben più nettamente di quanto dica il 3-2 finale e sommergendo gli haitiani sotto sette gol. Gli azzurri continuano a faticare anche contro l’Argentina, che va presto in vantaggio, venendo raggiunta solo su autogol. Il 4-1 dei sudamericani ad Haiti costringe i nostri a dover cercare almeno un pareggio con i polacchi che però, lungi dal concedercelo, dominano il primo tempo andando sul 2-0, prima che Capello sigli l’illusoria rete che accorcia le distanze e che non basta ad evitare il repentino ritorno a casa.
Il torneo viene inaugurato dal Brasile, che è orfano di Pelé, e si vede. Due 0-0 con Jugoslavia e Scozia accendono le polemiche, non certo sopite dopo il 3-0 al malcapitato Zaire, che ne aveva presi ben nove dagli slavi, vincitori del girone. A salvare i brasiliani è la differenza reti, visto che la Scozia non va oltre il 2-0 con gli africani. Anche la Germania Ovest padrona di casa desta qualche perplessità. Battuto di misura il Cile, e fatto il suo dovere contro l’esordiente Australia con un 3-0, Beckenbauer e compagni vengono sorprendentemente sconfitti dai cugini della DDR. Una vittoria epocale per la Germania Est, alla sua unica partecipazione ad un mondiale. Una vittoria che alla prova dei fatti fa il gioco degli sconfitti, che col secondo posto evitano l’Olanda nel secondo turno. Si, perché da questa edizione la formula è cambiata e le prime due di ogni girone vanno a formare due ulteriori raggruppamenti, destinati a stabilire le due finaliste. E visto che l’Olanda è la grande favorita insieme ai tedeschi è bene evitare di scontrarsi prima del dovuto. Gli orange vincono il loro girone senza troppi patemi, battendo Uruguay e Bulgaria e limitandosi allo 0-0 contro l’ottima Svezia, damigella d’onore.
MAREA ARANCIONE – Il torneo ha fin qui sancito il predominio del calcio atletico su quello più tecnico. Delle otto che hanno passato il turno, solo Brasile, Argentina e Jugoslavia fanno parte della seconda categoria. La Jugoslavia, inserita nel girone con Germania Ovest, Polonia e Svezia, fa da vaso di coccio tra vasi di vetro. Tre sconfitte in serie, in un girone dominato da tedeschi e polacchi, che si giocano la qualificazione all’ultima gara. I padroni di casa sono comunque scossi da polemiche interne, che portano alla definitiva esclusione di Netzer, inviso a Beckenbauer, a favore del più “allineato” Overath. La Polonia è trascinata da Lato, che sarà capocannoniere del mondiale. Nel campo, allagato da un temporale, di Francoforte, le due squadre regalano al pubblico novanta minuti di puro agonismo. L’equilibrio è quasi totale, rotto solo ad un quarto d’ora dal termine dal solito Müller, servito a centro area da Hölzenbein.
Germania Ovest in finale, dove ad attenderla trova un’Olanda rullo compressore. Gli arancioni dominano il loro girone con otto gol fatti e nessuno subito. Del calcio latino si salva solo il Brasile, che però a Dortmund, nello scontro decisivo, si deve arrendere allo strapotere fisico di Cruijff e compagni. All’Olanda basterebbe il pareggio, ma fin dai primi minuti è il portiere brasiliano Leão ad essere più impegnato di tutti. A inizio ripresa il fortino verdeoro cade. Neeskens approfitta di un errore difensivo per battere a rete con un diagonale ad effetto. Il raddoppio, un quarto d’ora dopo, è forse il più bel gol del torneo. Rensenbrink lancia Krol sulla sinistra, cross di quest’ultimo per Cruijff, che fin qui aveva fatto il minimo. Aggancio in volo del “Papero d’oro” e conclusione imparabile. Il Brasile abdica in quello che sembra un vero e proprio passaggio delle consegne.
IL MORSO DEL COBRA – Mentre il Brasile, deluso, cede il terzo posto alla sorprendente Polonia, all’Olympiastadion di Monaco di Baviera tutto è pronto per la finale più attesa, tra le due espressioni calcistiche che stanno dominando gli anni Settanta. Ci si aspetta un grande spettacolo di agonismo e le due squadre non deludono, fin dai primi secondi. Pronti via e Cruijff, ricevuta palla, prova a sfondare centralmente per entrare in area. Lo affrontano Hoeness e Vogts, ed è quest’ultimo ad atterrarlo appena oltre la linea. L’arbitro inglese Taylor non ha nessun dubbio, è calcio di rigore. La trasformazione è affidata a Neeskens, che non sbaglia. Il pubblico di casa ammutolisce. È un colpo che abbatterebbe un elefante, ma i tedeschi hanno personalità da vendere, da Beckenbauer a Overath, fino a Gerd Müller. Il “Kaiser” prende palla dalla difesa, avanza fino al limite e lascia partire un tiro che si spegne sul fondo. Niente di pericoloso, ma quanto basta per galvanizzare i suoi e far capire agli avversari che la battaglia è tutta da combattere. Ben presto gli attacchi tedeschi si trasformano in un assedio, con gli olandesi a tentare qualche rara sortita di rimessa. Al 25° Hölzenbein prova a fare tutto da solo, scendendo sulla fascia sinistra e, invece di provare il cross, lanciandosi in area alla ricerca di un contatto che trova in Jansen. Rigore netto, come nel primo caso e realizzato dal terzino Breitner, col portiere Jongbloed, famoso per la sua rinuncia ad usare i guanti, la maglia giallo canarino e il numero 8, che resta a guardare.
Il pareggio galvanizza ulteriormente i bianchi, che si gettano in avanti forsennatamente. Jongbloed si rifà sventando una botta da fuori di Vogts e salvando su Hoeness. L’Olanda risponde in contropiede ma Rep, pescato da Cruijff, conclude tra le braccia di Maier. Si avvicina l’intervallo quando arriva la svolta decisiva. Discesa sulla destra di Bonhof e cross rasoterra per Müller, appostato a centro area. Il centravanti non ha di certo la tecnica, tra le sue armi migliori, e infatti sbaglia il controllo. Di fatto, però, finisce per disorientare i difensori e, con una giravolta, sorprende Jongbloed sferrando una conclusione beffarda, che si infila lentamente all’angolino. Nella ripresa, nonostante i cambi, Michels non riesce a risvegliare i suoi ragazzi. Cruijff è praticamente annullato da un Vogts in giornata di grazia e, perso l’apporto del loro leader, anche gli altri faticano a creare pericoli. Anzi, sono i tredeschi a sfiorare il gol con Hoeness e a chiedere un altro penalty, sempre per fallo di Jansen su Hölzenbein. Ma il risultato non cambia. La Germania Ovest, a 20 anni di distanza, torna campione del mondo, mentre all’Olanda non resta che il rammarico di aver cambiato per sempre il modo di intendere il calcio, senza però aver portato a casa nessun alloro.
IL CAMPIONE DEI CAMPIONI
Franz Beckenbauer – Senza dubbio il leader della generazione d’oro del calcio tedesco. Sia dal punto di vista tecnico che, soprattutto, a livello di personalità. Cresciuto nel Bayern fin da ragazzino, debutta come centrocampista offensivo grazie alle sue doti tecniche sopra la norma. Vince tutto quello che potrebbe vincere. Oltre a campionati e coppe di Germania, anche tre Coppe dei Campioni di fila, una Coppa delle Coppe e una Coppa Intercontinentale. Con la nazionale, dopo la finale mondiale del 1966 e la semifinale di quattro anni dopo, centra l’accoppiata Campionato Europeo e Mondiale tra il 1972 e il 1974. Chiuderà con la carriera internazionale nel 1977, con due Palloni d’oro in bacheca. Sarà poi il C.T. della Germania campione del mondo nel 1990.
TABELLINO DELLA FINALISSIMA
Monaco, 7 luglio 1974
Germania Ovest: Maier, Vogts, Breitner, Schwarzenbeck, Beckenbauer, Bonhof, Grabowski, Hoeness, Müller, Overath, Hölzenbein.
Olanda: Jongbloed, Suurbier, Krol, Haan, Rijsbergen (68’ De Jong), Jansen, Rep, Neeskens, Cruijff, Van Hanegem, Rensenbrink (46’ R.Van de Kerkhof).
Marcatori: 1’ Neeskens(O)(rig), 26’ Breitner(G)(rig), 44’ Müller(G).
Autore: Andrea Dipalo
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