Guido Carboni, allenatore dei galletti dal 2004 al 2006, non ha mai dimenticato la grande opportunità che gli venne offerta, in quegli anni, dal club biancorosso, che gli consentì di allenare in una piazza importante del calcio italiano: “Mi contattò per primo Regalia, una persona che ho sempre stimato. Pari, come direttore sportivo, arrivò solo in seguito. Ero reduce da un bel campionato a Viterbo, ed avevo diverse possibilità. Il Bari, retrocesso in C sul campo, venne riammesso in B per i fallimenti di Napoli ed Ancona.”
Vi fu, dunque, il ripescaggio: “La proprietà era in quel momento costretta a contrarre le spese. C’erano giocatori con contratti pesanti, che dovevano essere ceduti, e bisognava rivoluzionare la rosa. Portai in Puglia Gazzi, Santoruvo, Sibilano, che era già di proprietà barese. Valorizzai gente come Gillet, che poi è diventato una bandiera. All’inizio, andammo un po’ in difficoltà. Incontrai Matarrese, dopo una sconfitta in casa con la Ternana, alla decima giornata. Avevamo solo 7 punti in classifica. Mi chiamò, finita la partita, ed io pensavo mi esonerasse. Invece mi confermò, dicendo che credeva prima nell’uomo, poi nell’allenatore. Da lì in poi tenemmo un andamento da playoff, e rischiammo di fare davvero gli spareggi promozione, se non fosse stato per qualche arbitraggio discutibile, specie nelle gare di ritorno con Arezzo e Genoa, in trasferta. Certi investimenti erano comunque impossibili, per le casse societarie. A gennaio, chiesi Bombardini, e mi presero Antonioni.”
L’esperienza del tecnico in riva all’Adriatico, dopo l’undicesimo posto in classifica conseguito alla prima annata, proseguì: “Il secondo torneo, centrammo l’obiettivo della permanenza in cadetteria con anticipo, ed a 7 giornate dalla fine eravamo già praticamente salvi. Parlai con Vincenzo, e gli dissi che avrei voluto lottare per obiettivi più importanti, l’anno seguente, altrimenti non sarei risultato credibile in un contesto come Bari. Terminammo la stagione e me ne andai. A lui, sarò comunque sempre grato, anche se la qualità della nostra rosa era inferiore a molte delle avversarie. Putroppo, mi trovai ad essere nel capoluogo pugliese quando l’azienda di famiglia dei Matarrese era in grande difficoltà, per via di Punta Perotti. Avevo un gran legame con il presidente, ed ancora adesso conservo un gran ricordo di lui, e gli sarò sempre riconoscente. Il secondo anno, gli dissi che se avessimo preso tre giocatori avremmo potuto lottare per la A. Ma non fui accontentato. Sono sempre stato in gran sintonia con la dirigenza, perché conoscevo le difficoltà economiche che stava attraversando.”
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