Per molti si tratta solo di un indumento sportivo. Di differenti marche, dai tessuti sempre più evoluti. Insomma, buone per tutte le stagioni. Stiamo parlando di una comune tuta. Già, ma Tuta é anche il nome di un attaccante brasiliano passato per Venezia. Una meteora invernale, lui che proveniva da un paese dove caldo e mare fanno la differenza, mandata chissà da chi per frantumare un biscotto. Non un frollino di quelli croccanti che servono per stuzzicare l’appetito, ma un biscotto inteso come risultato concordato. 

La partita é Venezia-Bari, stagione 1998/99. Il Venezia di Novellino, celebre Monzon, di lì a poco si appresterà a diventare definitivamente la laguna magica del Chino Recoba. Il Bari é la solita squadra costruita grazie alle intuizioni di Regalia e messa in campo secondo la saggezza di Fascetti, il toscano dal pugno di ferro. Di Maniero e De Ascentis i gol che sembrano - perché l’apparenza inganna - mettere tutti d’accordo. Ma il calcio, spesso giusto, talvolta ingiusto, occasionalmente beffardo, decide che Tuta è l’uomo del destino pronto a sfidare il destino stesso. Entra proprio per Recoba, un po’ come rimpiazzare John Travolta con Pino dei palazzi. E dire che il linguaggio del corpo - vero o presunto - dei calciatori in campo - escluso proprio Tuta - racconta  che Venezia e Bari, intendono pareggiare. Cinquanta e cinquanta, come diceva Oronzo Canà a Picchio De Sisti. Si, ma era realmente così? Tuta non é Socrates eppure lascia un segno profondo in quella partita e in quella giornata. 

Al novantesimo ecco il fulmine a ciel sereno, Tuta sbuca dal nulla e fa gol. 2-1 per il Venezia, lui che festeggia da solo. 

“Maniero mi ha detto di non segnare” - racconterà poi. La replica di Pippo gol non tarderà ad arrivare: “Gli ho detto che il pari andava bene e che non dovevamo subire gol”. Parole, parole, parole. D’amor, d’odio o di altre faccende di un calcio che cambia ma che poi, alla fine, resta sempre lo stesso. 

Sezione: Amarcord / Data: Mer 03 luglio 2024 alle 07:00
Autore: Raffaele Garinella
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